NEIL YOUNG with CRAZY HORSE
Way Down In The Rust Bucket
Reprise Records
9/10 04.03.2021 | Alberto Albertini
Photo credit: photo by Takahiro Kyono
Photo credit: photo by Takahiro Kyono
Nel settembre 1990 Neil Young & Crazy Horse pubblicano Ragged Glory, un disco diverso dalle precedenti incisioni degli anni '80, dove le sonorità della band si facevano più elettriche e aggressive rispetto al passato, con un massiccio uso di feedback e chitarre distorte.
Questa nuova svolta musicale del canadese attirò la particolare attenzione di gruppi rock alternativi come Sonic Youth e Pearl Jam. Una generazione di musicisti sicuramente differente che percepì da quel nuovo approccio musicale di Young una certa sintonia. A tal punto che i primi finirono per suonare come gruppo di supporto ai concerti dei Crazy Horse l'anno seguente e i secondi incisero un album con il canadese, Mirror Ball datato 1995.
Due mesi dopo l'uscita del tanto acclamato Ragged Glory, nel novembre 1990 viene registrato al The Catalyst (un piccolo locale a Santa Cruz in California) Way Down In The Rust Bucket. Un live molto spettacolare e interessante perché presenta l'intensità e l'energia espressa dai Crazy Horse nel successivo "Smell The Horse Tour" del 1991, in una veste più intima e con una differente selezione di brani. Si percepisce quindi un approccio col pubblico ben diverso dalle oceaniche folle di Weld, il famoso live pubblicato nel 1991 proprio per documentare il tour.
Photo credit: la copertina del doppio CD Way Down In The Rust Bucket
Photo credit: la copertina del doppio CD Way Down In The Rust Bucket
La band Crazy Horse, con un sound rilassato ma allo stesso tempo incalzante e distorto, sviluppano lunghe jam trainate dalle chitarre di Young e di Frank Sampedro in continuo dialogo tra di loro, superando le due ore e mezza di concerto. La maggior parte dei brani eseguiti arriva dal repertorio di Ragged Glory come la fantastica Country Home in apertura e le lunghe ed elettrizzanti versioni di Love To Burn e Love And Only Love (entrambe superano i tredici minuti di durata!).
Oltre alla solita e immancabile presenza del cavallo di battaglia delle esibizioni live Cortez The Killer, sono Don't Cry No Tears e Danger Bird gli altri due brani ripescati anche loro dall'album Zuma del 1975. Ed è proprio Danger Bird (suonato per la prima volta dopo quindici anni) a destare una maggiore attenzione. Il suo ondivago pattern ritmico dettato dal basso di Billy Talbot e dalla batteria di Ralph Molina si estende oltre dieci minuti, creando un debordante groove, con squillanti assoli di Young che raggiungono vette altissime per uno dei brani migliori della serata.
Dall'album Rust Never Sleeps troviamo invece il grintoso hard rock di Sedan Delivery che insieme alla già precedentemente citata Danger Bird verrano (purtroppo) abbandonate nella scrematura per la definitiva scaletta del tour del 1991.
La setlist non finisce di stupire perché vengono eseguite delle rarissime versioni di Surfer Joe And Moe The Sleaze e T-Bone provenienti entrambe dal controverso album del 1981 Re-ac-tor. Questa sicurezza nel suonare e riproporre anche brani poco noti per rigenerarli completamente rappresenta un’ulteriore dimostrazione della serenità espressa dal quartetto durante quella magica serata. Young esplora al meglio il suo importante songbook inserendo una rara versione di Homegrown, molto più convincente rispetto a quella in studio presente in American Stars'n Bars del 1977. Dal medesimo disco viene interpretato il classico Like A Hurricane, presente in quasi tutte le esibizioni live: il brano esplode con tutta la sua potenza noise rock e tra esorbitanti feedback e graffianti distorsioni raggiunge i tredici minuti di durata.
Nel vastissimo panorama discografico di un musicista così tanto prolifico e famoso come Neil Young, dove da anni arrivano ormai continue e costanti pubblicazioni di materiale inedito dai suoi immensi archivi (intervallate dalle nuove uscite), diventa difficile esaltarsi davanti a qualcosa di ancora poco conosciuto o diverso.
Nella sua naturalezza, Way Down In The Rust Bucket è da considerarsi un piccolo tesoro da tenersi stretto, una totale immersione sonora in uno dei periodi più esaltanti e spettacolari di Crazy Horse. Un periodo nel quale la formazione ritrova il suo magico legame che mancava dalla fine degli anni '70, riuscendo a suonare con un sound così lineare e fluido come non era mai capitato prima. Senza risultare ripetitiva la musica si rinvigorisce e accresce canzone dopo canzone, l'alchimia creata dai musicisti diventa ipnotica, sempre guidata dalla potente e profetica chitarra di colui che nell'arco di qualche mese sarebbe stato definito, da una nuova generazione di musicisti, "The Godfather Of Grunge".
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